Il mondo povero del copywriter

Oggi il copywriter rischia di creare contenuti testuali sempre più poveri, sempre più omologati. Contenuti studiati esclusivamente per il web e rivolti a una cerchia ristretta di addetti ai lavori

Il copywriter che leggo tra le righe della Rete mi sembra chiudersi sempre di più su se stesso. Oggi faccio questa riflessione e ho bisogno di scriverla.

La figura del copywriter, oggi, sembra destinata a rosicchiare pagine virtuali di testo già scritto e quasi senza masticarle, mandarle giù. Tutto qui? Mi chiedo.
E l’iniziativa personale? E la creatività? E l’uso propedeutico di sporcarsi le mani di colore prima di immaginare l’opera, che fine hanno fatto? Osare gli abbinamenti. Tirare fuori teorie bislacche da rimettere in discussione tante e tante volte anche soltanto per buttarle via. Collezionare parole amate. Rianimare parole maltrattate. Smontare parole per vedere cosa c’è davvero dentro. Disegnare parole. Chiedersi il perché di un accento o di un apostrofo. Guardare fuori e pescare da dentro. Stancarsi della superficie…

Che fine ha fatto tutto il processo creativo? Quello dei sei cappelli di De Bono!

Ho la sensazione che il copywriter di oggi, quello che appartiene alla Rete, si stia rivolgendo solo a un cerchio ristretto di addetti ai lavori. Un cerchio che guarda solo all’interno e che sta diventando sempre più povero. Il mondo povero del copywriter.

Questa mattina giocavo con la parola: copywriter. Pensavo al ‘copiare’ (copy) e pensavo allo ‘scrittore’ (writer).
Non è proprio così che andrebbe smontata questa parola un po’ abusata.
Copy, credo sia affiancabile alla parola propagation. Propagazione, diffusione.

Un tempo la figura del copywriter si riferiva a colui che si occupava – dentro un’agenzia pubblicitaria – di scrivere il testo per un annuncio o un telecomunicato. Era l’ideatore e il redattore di scritti pubblicitari. Diciamo così per farla più semplice. Lavorava in stretto contatto con l’art director, colui che si occupava della parte visuale della comunicazione, sempre nel contesto di una campagna pubblicitaria più o meno complessa.

Perché parlo al passato? Perché oggi – a mio parere – la parola copywriter assume un significato più ampio. Per copywriter si intende un professionista della scrittura, quindi, chi scrive per professione ma non appartiene più solo al mondo pubblicitario. Mi pare un mestiere a 360°. Possiamo parlare a tutto tondo di comunicazione.

È giusto dire che oggi il copywriting è il cuore e la mente della comunicazione? Forse sì. Una grande responsabilità, non credi?

Un copywriter, quindi, deve essere un insieme armonico di competenze: vere, reali, misurabili. Online e offline.

Allora perché non faccio altro che inciampare in blog di persone che si presentano come copywriter, esperti di marketing, di comunicazione, e molti aggiungono anche la SEO… senza trovare – se non in rari casi – la vera responsabilità che si dovrebbe avere nei confronti di questo difficile e straordinario mestiere?

Per quale motivo chi si ‘titola’ come copywriter, con tanta noncuranza si appropria di teorie altrui, si dimentica di citare autori impegnati, non si sforza di mettere un accento sopra una E maiuscola, mi pettina il né al contrario, facendolo diventare questo quello, non cura i propri testi come se chi leggesse non fosse degno di attenzione?

Perché un copywriter dovrebbe scrivere per farsi leggere da altri copywriter? E guardare nella stessa direzione anche per ispirarsi?

Si rischia un circolo vizioso che impoverisce un mondo che per sua natura è creativo, originale, curioso, affamato di dettagli, attratto dalla profondità e dalla genialità. È un mondo che osa e che si nutre di stimoli esterni. È un mondo che non cerca certezze; studia gli esperti ma non ama le strade comode già percorse da altri. È un mondo che fermenta. Tutto rivolto all’esterno, un mondo persuasivo.

Il rischio, invece, è che diventi sempre più povero, ossessionato dalla quantità e con gli occhi puntati solo all’interno del proprio cerchio. Ma è fuori dal cerchio che abita il ‘popolo lettore’. Ed è più selettivo di quanto si possa immaginare.

Non mi sono mai definita una copywriter (un ruolo complesso da super esperti). Spesso mi ci definiscono gli altri. Mi sento un’autrice perché ho pubblicato libri, report, epub. Mi sento una scrittrice web perché creo contenuti testuali per il Web, appunto. E non mi piace il mondo povero dei copywriter e spero si arricchisca presto di testi che possano interessare anche chi copywriter non è.

Pat

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